Questo articolo è tratto dalla video-intervista condotta da Benedetto Caramanna, Managing Director di Sales Line, a Federico Cussigh, Senior Partner R-Tree Technologies, esperto di tecnologie digitali applicate al knowledge management.
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Cos’è e perché è così importante il Knowledge Management?
Quando ci siamo conosciuti alla AI Week ho parlato di un tema particolare, cioè l’intelligenza artificiale e la semantica ingannevole per dire che bisogna fare molta attenzione quando si parla di tecnologia perché a volte le parole non cambiano negli anni, però cambia il sottostante.
Ad esempio, se paragoniamo un telefono degli anni 80 / 90 / 2000 con un iPhone di oggi, pur chiamandoli entrambi telefoni, non possiamo dire che siano la stessa cosa.
Ecco, a volte la semantica, quindi le parole, ingannano perché cambia il mondo ma le parole alcune volte rimangono stabili. Questo è un punto di partenza per spiegare cosa significa knowledge management: significa valorizzare la conoscenza e tradurla, cioè fare in modo che possa essere trasmessa attraverso le generazioni. Significa estrarre e proteggere il valore delle competenze distintive delle organizzazioni.
Noi adesso lo facciamo con l’intelligenza artificiale e anche con tanti strumenti e competenze che abbiamo maturato in molti anni di lavoro, il punto è comunque fare in modo che il cliente diventi titolare esclusivo della sua conoscenza. In molte organizzazioni il vero know-how distintivo non appartiene all’azienda ma si trova nella testa delle persone e questo vedremo che è un serio problema.
Il knowledge è il valore dell’azienda
E perché è importante il knowledge management? Perché serve a preservare la conoscenza umana, in questo caso contestualizzata all’interno dell’azienda, perché uno dei temi che riguarda tanti imprenditori e Mananging Director con cui ho parlato riguarda il turnover elevato: tante persone vanno in pensione e si portano dietro tanti pezzi d’azienda. È un tema sensibile e piano piano ce ne stiamo rendendo conto, iniziamo parlando di “Che cos’è il valore della conoscenza” quindi da lì poi svilupperemo i nostri ragionamenti.
Se chiedi quanto vale un’organizzazione a chiunque, ti dirà che è data dalla sommatoria dei valori tangibili, gli asset aziendali, ma c’è una parte intangibile che spesso viene identificata come noi, la gente. Questa è una definizione corretta, ma la domanda che ci dobbiamo porre però non è se il knowledge abbia valore. Dobbiamo chiederci se noi stiamo valorizzando in modo corretto il nostro knowledge, cioè le nostre competenze distintive.
Il valore tangibile degli asset sta nel bilancio della nostra organizzazione, ma in realtà tutti sappiamo che il bilancio non è sufficiente per definire il valore di un’organizzazione. Il vero valore include la capitalizzazione degli utili futuri, l’avviamento, la capitalizzazione di borsa. Queste sono definizioni tecniche ma in realtà è il knowledge che rappresenta la maggior parte del valore di un’organizzazione perché rappresenta il sapere come fare per conseguire gli utili futuri.
Tu compreresti un’azienda sapendo che una volta acquistati il capannone, i macchinari e le strutture operative non c’è nessuno dentro a farla funzionare? Forse sì, ma pagheresti solo il valore degli asset, niente di più. Quand’è che paghi di più un’organizzazione? Quando c’è qualcuno che la sa far funzionare.
Dove si trova il knowledge delle aziende?
Il valore della conoscenza è una parte fondamentale della valorizzazione delle nostre organizzazioni. Ma chi detiene oggi veramente il knowledge nelle nostre organizzazioni?
Possiamo dire che alcune parti dell’informazione sono all’interno dei cosiddetti asset tangibili, in documenti e procedure. Però gli asset intangibili, che sono il vero valore dell’organizzazione stessa, spesso stanno nella testa delle persone e questo è un problema serio.
Domandiamoci in quale proporzione il knowledge è suddiviso tra knowledge formalizzato e knowledge che si trova nella testa delle persone. Purtroppo in molti casi questa è la situazione.
L’assenza di knowledge management riguarda le PMI italiane o anche le multinazionali?
Si parla di knowledge management da tanti anni e le aziende anglosassoni, americane, tedesche per esempio hanno iniziato a lavorarci in maniera approfondita e sono molto più preparati delle aziende italiane. Anche perché in una struttura con migliaia di dipendenti è molto probabile che qualcuno a un certo punto si renda conto che le vere competenze distintive sono importantissime.
Purtroppo, il tessuto industriale italiano è fatto di medio – piccole aziende dove spesso si è arrivati al punto di teorizzare il fatto che nessuno deve avere la visione completa di tutta l’azienda e che le vere cose importanti devono stare nella testa dell’imprenditore. Questo è un approccio fuori da ogni visione condivisa a livello internazionale da organizzazioni molto grandi, che fanno esattamente l’inverso.
Il mondo del lavoro dopo la staffetta generazionale
Sì, dobbiamo inserire un tema che per molti potrà sembrare anche strano, cioè il tema demografico.
Abbiamo detto che in molte organizzazioni il knowledge sta nella testa delle persone e questo ci mette davanti all’evidenza che il mondo sta cambiando. Infatti, è in corso una decrescita demografica a livello mondiale. Sembra contro intuitivo perché fino a qualche anno fa sentivamo dire stavamo crescendo e che siamo troppi, ma per esempio l’Italia è al di sotto della cosiddetta soglia di sostituzione, che è il numero medio di bambini che dovrebbero nascere, cioè se ogni donna nella sua vita non genera almeno due bambini la popolazione dopo un certo numero di anni tenderà a calare. L’Italia sta calando e siamo sotto la soglia di sostituzione da decenni.
Succede in Italia, ma anche in tantissimi altri paesi, come Francia, Spagna, Germania ma vi assicuro che questi trend, ora ancora non così marcati, sono rappresentativi di tutte le società evolute inclusa Cina, America e anche molta parte del continente africano.
Attenzione In Italia con 400.000 nascite all’anno, nel giro di una generazione e mezza diventeremo 30 milioni, cioè stiamo per prepararci a un dimezzamento della popolazione italiana. Vediamo questo però come si sviluppa e quali impatti ha oggi, perché uno dice: tra due generazioni io mica ci sarò! No, il percorso è già in essere e ci sono alcune cose che devono essere analizzate ora.
Quella che una volta veniva chiamata “piramide sociale”, cioè la piramide che rappresentava la società con molti nuovi nati e pochi anziani in realtà è diventata una struttura a base pentagonale e, per la prima volta nella storia della nostra società, quelli che stanno andando adesso in pensione non sono numericamente sostituibili da quelli della generazione subito sotto. Mancano persone e a un certo punto non riusciremo a trovare lavoratori semplicemente perché non ce ne sono e questo già è in atto.
Da nativi analogici a nativi digitali
Per alcuni settori si può dire, per esempio, che non si trovano idraulici perché gli italiani non vogliono più fare l’idraulici. Può darsi anche che una parte della spiegazione oggi possa essere questa, ma quello che sta davanti a noi è ben diverso e vorrei sottolineare anche un’altra criticità: attenzione, quelli che stanno andando in pensione sono nativi analogici e quelli che stanno nascendo adesso sono nativi digitali. Facciamo un esempio: per fare un foro su un pezzo di metallo serve una manovra di tipo analogica, cioè devo prendere fisicamente una leva e devo fare un movimento per far sì che il foro avvenga attraverso una punta.
Quando questo processo produttivo di foratura diventa digitale, è un computer che comanda una punta che fa un foro su un pezzo di metallo. Quindi un processo che nasce analogico è diventato digitale.
Qual è il problema? Che quelli che stanno andando in pensione adesso si ricordano ancora come si facevano i fori una volta, il rumore, le vibrazioni, il fatto che la punta si bloccava se mancava l’olio. Quel tipo di competenza della produzione tipica delle aziende medio piccole che una volta era solo analogica, piano piano diventata digitale e i giovani di oggi, non per colpa loro, in un’azienda trovano tutti impianti automatizzati e chiusi, non si vede nulla, perché è tutto gestito da un computer. Però il ferro va ancora lavorato e tutte le competenze per fare quel tipo di lavorazioni sono competenze prevalentemente analogiche.
Nelle nostre organizzazioni quando un macchinario digitale si blocca, oggi si va a chiedere informazioni agli operai più anziani che si ricordano ancora come si facevano le cose una volta e che però a breve non ci saranno più. Come faremo?
La perdita di know-how
I nativi analogici sono nati diciamo dal 1950 in poi, oggi rappresenta chiamiamolo il top Management e tutto il Middle Management delle nostre aziende. Molti di quelli che contano nelle nostre organizzazioni sono nella generazione intermedia.
Quelli che noi oggi chiamiamo nativi digitali sono nati decenni dopo l’arrivo del personal computer, decenni dopo l’arrivo di internet, quando sono arrivati l’office automation, il cloud, l’intelligenza artificiale, la robotizzazione erano bimbi. Chi era nella generazione dei nativi analogici e nella generazione intermedia ha avuto modo di vedere il mondo cambiare, ma ora abbiamo davanti a noi una finestra che è iniziata nel 2022 e tra 7 anni, nel 2030, tutti i nativi analogici saranno in pensione e inizieranno andare in pensione anche quelli della generazione intermedia, prima della generazione dei nativi digitali.
C’è un problema di staffetta generazionale e la domanda è: le nostre organizzazioni sono focalizzate su questa finestra cortissima? Il focus deve essere quello di organizzare il knowledge analogico in digitale per far sì che le future generazioni possano andare avanti. C’è la necessità di creare asset digitali per i nativi digitali. Questo punto per molti versi non viene considerato, eppure vediamo che, quando un operaio esperto va in pensione, porta via un pezzo di knowledge.
Due domande fondamentali che le aziende devono farsi subito
Il rischio che corriamo è quello che le aziende oggi non inizino a trasformare il loro knowledge per le future generazioni e che le future generazioni possano trovarsi, come diceva Einstein, con “niente che funziona e nessuno sa perché”.
Ci sono due domande fondamentali che le aziende devono farsi:
La prima è: qual è l’età media nella nostra organizzazione? Più l’età media è alta, più il rischio di una perdita di knowledge è presente.
L’altra grande domanda che dobbiamo farci è: in questo percorso di staffetta generazionale, cosa stiamo concretamente facendo per le future generazioni? Intendo, per le persone che porteranno avanti la nostra organizzazione.
Come ci aiuta l’intelligenza artificiale in questa fase di transizione?
Oggi l’intelligenza artificiale ci può dare una mano con due condizioni nuove che nel passato non c’erano: la presenza diffusa di dati e la capacità di elaborazione che in passato non era comparabile con quella oggi.
È fondamentale fare in modo che le aziende diventino vere proprietarie del proprio knowledge. Quindi si parte dalla raccolta di dati, informazioni e competenze per trasformarli in un asset digitale, creando sistemi che siano in grado di selezionare, ricercare e trasformare questo knowledge in modo che sia utilizzabile e che possa essere anche condiviso con destinatari esterni.
La maggior parte delle informazioni sono gestite dal software di contabilità ma tutti sappiamo che ci sono altre cose che contano, ad esempio “come contabilizzare una fattura e arrivare al bilancio”, “come si vende”, “come si fa assistenza tecnica”. Ci sono tantissimi luoghi nell’organizzazione dove si trovano vere e proprie casseforti delle informazioni.
Più pensionati che lavoratori attivi
Riprendiamo il tema degli sviluppi demografici. Fino al 1800 la mortalità infantile era altissima, pochi raggiungevano l’età adulta e pochissimi anziani. Nel 1900 è aumentata la vita media e si è ridotta la mortalità infantile. Ora, entro fine secolo saremo la vita media sarà più alta di quella raggiunta negli anni passati, ma il numero di persone attive sarà nettamente inferiore al numero dei pensionati.
L’unico modo per sostenere questo modello è usare pesantemente robotica, automazione e intelligenza artificiale. Solo così sarà possibile creare il valore aggiunto che servirà per far stare in piedi la nostra società.
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Cosa succederà alla funzione HR?
Probabilmente gli cambieremo nome e la chiameremo HRD cioè Human and Digital Resoures!
Le risorse digitali molto probabilmente verranno gestite così come oggi gestiamo le risorse umane e la capacità di elaborazione che l’intelligenza artificiale e la robotica e l’automazione – non solo automazione di processi produttivi, anche di processi organizzativi.
Parlo di robot che lavoreranno nei nostri uffici ma non sono robot fisici, quelli magari saranno in produzione. Si tratta di robot software che faranno tutta una serie di attività e usciranno dalla categoria degli strumenti informatici, diventeranno risorse digitali. Solo così nelle nostre organizzazioni riusciremo a creare molto più valore aggiunto di quello che creiamo adesso.
Molto probabilmente la tassazione su queste organizzazioni aumenterà e questo permetterà di pagare tutte le pensioni e tutti i costi di una società che tenderà a diventare molto più vecchia.
Caso studio: il knowledge management in presenza di elevato turnover
Stiamo affrontando un’azienda molto strutturata, con migliaia di dipendenti, ad alto turnover. In questo caso un turnover interno, perché è un’azienda che, nel percorso di formazione interna dei manager, vuole che questi inizino la propria carriera con un ruolo come, per esempio, quello del preventivista prima di poter gestire qualunque tipo di ruolo commerciale, di controllo di gestione, della qualità della produzione. Questo perché il preventivista inizia a conoscere l’azienda con gli occhi del cliente, conosce i prodotti e ne conosce le particolarità.
Quindi, nel percorso interno di formazione è previsto che un neoassunto che è candidato a diventare manager passi all’interno dell’ufficio dei preventivisti per 2/3 anni. Questo significa che ogni due o tre anni le persone ruotano all’interno di quell’ufficio, però il processo di preventivazione deve andare avanti e adesso stanno iniziando a mancare tutta una serie di figure di riferimento che una volta venivano chiamate da questi giovani preventivisti.
Quindi quando si creava un problema, prima chiamavano qualcuno della produzione o del controllo qualità che sapeva le informazioni importanti. Questo purtroppo sta venendo meno.
Perciò abbiamo iniziato un percorso per giungere alla trasformazione del knowledge su come creare un asset digitale che potrà aiutare un domani i giovani preventivisti a capire come si fa un preventivo, quali sono gli aspetti problematici, come si gestiscono determinati tipi di calcoli. Tutte queste informazioni sono state raccolte in un sistema di knowledge management che permetterà a un neoassunto, ma anche a chi è da anni, di fare una serie di domande e ottenere delle risposte dal sistema.
Caso studio: il knowledge management per l’assistenza post-vendita
Il tema dell’assistenza post-vendita non è così diverso da quello dell’assistenza tecnica, perché anche lì c’è il problema del turnover. Capita che devi dare assistenza su un macchinario e sono dieci anni che non è più in produzione nella tua azienda, però il cliente ti chiama perché si è rotto un certo pezzo.
Tutti corrono a leggere il manuale del macchinario che hanno prodotto e grazie a questo manuale riescono in qualche modo a dare assistenza. Quindi l’idea è quella di prendere tutti questi manuali, insieme a una serie di best practice e informazioni che riguardano la gestione dell’assistenza e dei reclami e caricarli in un sistema di knowledge management che spieghi cosa fare a chi dovrà dare assistenza su quel macchinario tra 10 o 15 anni.
Capite che, se il tasso di turnover delle nostre organizzazioni tende a crescere, succede che la vita media dei nostri collaboratori all’interno di un’azienda è sempre più corta e quindi queste persone che sono da 1-2 anni non possono sapere come si fa manutenzione su un qualche cosa che è stato prodotto 7 anni fa.
Quali competenze trasversali aiutano ad affrontare un processo di knowledge management?
Sicuramente le competenze digitali e relative all’innovazione tecnologica saranno assolutamente importanti però attenzione, perché non saranno le uniche importanti.
I manager del futuro probabilmente saranno meno ingegneri perché molte cose verranno sostituite dall’intelligenza artificiale, come la progettazione automatica di interi sistemi e addirittura di impianti. Allora rimarranno le capacità dialogiche, le capacità di entrare in relazione, l’empatia con i collaboratori, il team working.
Come si dice, non è l’intelligenza artificiale che cancellerà i posti di lavoro ma chi sa usarla prenderà il posto di chi non sa usarla. Però è vero che verranno cancellati molti posti di lavoro per quelli che decideranno di non utilizzare l’intelligenza artificiale.
Benedetto Caramanna
Fondatore e Managing Director di Sales Line
Da oltre vent’anni mi occupo di headhunting. Nel 2008 ho fondato la Sales Line sviluppando l'attività di headhunting e recruiting sia per PMI che per multinazionali. Entriamo in contatto su LinkedIn