Le aziende oggi devono avere una strategia per proteggersi dalle conseguenze del cosiddetto talent shortage, una carenza di talenti sul mercato che sembra ormai cronicizzata a livello globale e che sta già creando problemi a imprese di ogni dimensione e in ogni settore.
Lo scenario appare simile in tutto il mondo occidentale, con alcune particolarità tutte italiane.
Partendo dall’analisi dei dati oggettivi, vediamo quali possono essere le conseguenze e le soluzioni per chi si deve occupare di risorse umane e quali decisioni devono prendere le aziende per salvaguardare il proprio business.
Tabella dei Contenuti
I dati in Italia
Il mercato del lavoro in Italia, soprattutto nel Nord Est, oggi è piuttosto frizzante:
- nel primo semestre 2022 abbiamo registrato oltre 4 milioni e 270 mila nuove assunzioni
- un saldo di +682.000 nuovi contratti di lavoro
- 247.000 contratti in più a tempo indeterminato
In sintesi, il mercato ha recuperato ed è tornato ai livelli pre-pandemici.
Leggendo questi dati senza altro contesto, sembrerebbe uno scenario a tinte rosa.
Però, se andiamo ad intervistare gli imprenditori e gli HR Manager di tanti comparti industriali e dei servizi la situazione è ben più fosca.
Negli ultimi anni, a livello globale, le aziende hanno visto restringersi il talent pool in tutti i settori. Addirittura, secondo uno studio del World Economic Forum, in dieci anni la talent scarcity è aumentata del 120%.
Per questo, le imprese fanno sempre più fatica a trovare le competenze necessarie nel personale che selezionano. Tra l’altro, molte di queste aziende pensano che nemmeno i propri dipendenti abbiano le skill effettivamente necessarie.
Il Future of Jobs Report indica infatti che il 50% del personale dovrà rivedere le proprie competenze entro il 2025.
Quindi il lavoro c’è, ma manca il personale adeguato. Questo vale per il Data Analyst come per l’Autotrasportatore.
Ma cos’è cambiato rispetto a prima?
La forza lavoro in Italia
La questione del talent shortage è causata certamente da più fattori che concorrono da una parte a ridurre la forza lavoro presente sul mercato, proprio in termini numerici, e dall’altra a una scarsità di competenze adeguate.
Quando parliamo di carenza di talenti, o talent scarcity, in Italia, parliamo quindi anche di calo demografico, di gap tra scuola e lavoro e di cambiamenti culturali accentuati dal periodo pandemico, particolarmente per le nuove generazioni.
Alcuni di questi fattori si riscontrano a livello globale, altri invece sono specifici del nostro paese.
Calo demografico
Certamente il saldo demografico negativo è un dato oggettivo in Italia: dal 2011 al 2021 siamo passati da 14,2 milioni di persone con un’età compresa tra i 15 ed i 35 anni ai 12,7 milioni circa (dati Istat).
In dieci anni abbiamo perso 1,5 milioni di potenziali lavoratori.
Inattività
Stiamo assistendo a una minore partecipazione dei giovani al mercato del lavoro.
Basti pensare che in Italia abbiamo, nella fascia d’età 25-34 anni, quasi il 30% di NEET, persone che non studiano e non lavorano.
Tra le più alte percentuali in Europa!
Gap Scuola – Lavoro
Esiste poi un grosso gap tra competenze acquisite a scuola e offerte di lavoro, come può testimoniare chi, come noi, si occupa quotidianamente di selezione del personale.
A causa di questo mismatch, le aziende oggi fanno fatica a trovare specialisti. Pensiamo per esempio alla scarsità di profili STEM in Italia.
Aggiungiamo anche che nel 2022 c’è stato un calo del 3% delle immatricolazioni all’università, cioè circa diecimila ragazzi quest’anno non si sono iscritti all’Università.
Il dato, che è stato riportato dal MUR, il Ministero dell’Università e della Ricerca, è certamente anche collegato con l’aumento dei giovani che non studiano e non cercano lavoro.
Lavoro e vita privata
C’è poi un aspetto qualitativo che osserviamo noi addetti ai lavori nella ricerca di personale e che trova riscontro a livello internazionale.
In questi anni di cambiamento, analizzando migliaia di interviste fatte a candidati di diversi ambiti, abbiamo registrato un fenomeno chiaro, soprattutto nella fascia d’età tra i 25 e i 34 anni: un ripensamento della propria vita in generale e una ricerca di un maggiore equilibrio tra vita privata e lavoro, il cosiddetto work-life balance.
Tanti candidati intervistati hanno affermato durante il colloquio che non trovano più un senso nel fare due ore di viaggio al giorno per recarsi sul posto di lavoro, imbottigliati sul grande raccordo anulare a Roma o in Tangenziale a Milano, quando lo stesso lavoro si può svolgere in modalità ibrida, con una percentuale di smart working elevata.
A questo proposito, una delle prime domande che ci rivolgono i giovani in fase di colloquio riguarda la possibilità di lavorare in smart working. Danno per scontato che si possa lavorare da remoto per almeno 40-50% del tempo.
Abbiamo visto parecchi imprenditori di aziende metalmeccaniche entrare letteralmente in crisi di fronte a questa domanda.
A tutto questo va certamente aggiunta una politica salariale che in Italia non premia né i lavoratori né le aziende e che va a contribuire agli elevati livelli di turnover.
I giovani tra i 25 e i 34 anni d’età preferiscono non lavorare per un po’, sapendo che in un mercato di scarsità un lavoro adeguato poi si trova.
Nel nostro paese, il fenomeno della Great Resignation nel primo semestre 2022 ha coinvolto oltre 1 milione di persone, circa il 32% in più rispetto allo stesso periodo del 2021.

La situazione internazionale
Gran parte del mondo occidentale sta vivendo oggi un’analoga carenza di talenti. Gordon Pelosse riassume così su Forbes il momento che stiamo vivendo:
• La formazione universitaria sta venendo meno
• La scuola non fornisce agli studenti le competenze realmente richieste sul mercato
• Le competenze sono diventate la nuova moneta di scambio
• Attrarre e trattenere talenti sta diventando sempre più difficile
• Alcuni imprenditori offrono bonus e salari elevati, mentre altri affermano che non è una prassi sostenibile
Comunque la si pensi, è impossibile non registrare un cambio di paradigma essenziale: il potere di scelta ha cambiato mano. Non è più (solo) l’azienda che sceglie il lavoratore, è il lavoratore che sceglie l’azienda.
Le conseguenze della scarsità di talenti
Questa competizione tra aziende per trovare i talenti necessari potrà portare a un aumento del costo del lavoro, a un’erosione dei margini di guadagno e a un rallentamento nella produzione e nelle strategie di espansione aziendale.
Nel Regno Unito, da un’intervista che ha coinvolto 1.000 imprenditori, è emerso che circa 7,6 miliardi di euro vengono spesi dalle aziende per far fronte alle spese generate da aumento dei salari e costi per personale temporaneo, recruiting e training, tra assunzioni e abbandoni, con un incremento del 39% rispetto al 2017.
Gli Stati Uniti, invece, potrebbero arrivare a perdere introiti pari a 132 miliardi di dollari a causa della mancanza di personale adeguatamente competente.
La scarsità di talenti sta colpendo tutti i settori e tutte le imprese, di ogni dimensione.
Le aziende più grandi, soprattutto quelle americane e le multinazionali, hanno sviluppato percorsi formativi calibrati sulle proprie esigenze, diventando partner delle università.
Le piccole imprese sono probabilmente quelle destinate a soffrire maggiormente a causa di questo fenomeno, strette tra la competizione con le aziende più grandi per attrarre e trattenere i talenti e i costi di un turn over frequente.
Nel mercato del lavoro, oggi il potere di scelta ha cambiato mano. Non è più l’azienda che sceglie il lavoratore, è il lavoratore che sceglie l’azienda.
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Come affrontare la talent scarcity
Di fronte al problema della talent scarcity, diventa essenziale tenere conto della difficoltà a reperire personale competente e prepararsi ad affrontarla quando si determina la strategia di recruiting.
Le imprese, soprattutto le PMI Italiane, devono ripensare i propri modelli di lavoro e la strategia di recruiting, focalizzandosi sulla talent attraction.
L’azienda, deve essere in grado di trasmettere il proprio valore non soltanto ai clienti, ma anche ai potenziali candidati e deve prestare maggiore attenzione all’ascolto delle reali esigenze del lavoratore per condividere uno scopo e una missione comuni.
Tanti candidati, sempre giovani, oltre alla domanda sulle politiche di work-life balance, chiedono fin dal primo incontro qual è la mission dell’azienda, quale strategia ha elaborato per affrontare il cambiamento in atto e soprattutto dove vuole andare in questo periodo di estrema volatilità.
Quello che cercano i giovani è condividere un progetto insieme all’azienda.
L’azienda può da parte sua prevedere alcune azioni che mettano in sicurezza la produttività:
– Una pipeline di candidati, cioè un processo di relazione con i potenziali candidati che crei una community di talenti a cui attingere quando necessario
– Un progetto di assessment e upskilling del personale già in forza all’azienda, che porti agli impiegati il beneficio di un percorso di crescita e all’azienda la possibilità di perseguire le proprie strategie
– Il coinvolgimento di partner esterni per alcune delle attività non strettamente collegate al core business dell’azienda
Ci sarà comunque la necessità di monitorare gli sviluppi di questo fenomeno per proteggere la produttività delle aziende e le loro potenzialità di crescita.c

Benedetto Caramanna
Fondatore e Managing Director di Sales Line
Da oltre vent’anni mi occupo di headhunting. Nel 2008 ho fondato la Sales Line sviluppando l'attività di headhunting e recruiting sia per PMI che per multinazionali. Entriamo in contatto su LinkedIn